Salito in questi ultimi mesi agli onori della cronaca a causa delle forti proteste contro il presidente sandinista Daniel Ortega (che ha iniziato il suo secondo mandato presidenziale nel 2016 con il 72% dei voti), il Nicaragua non faceva capolino nei media europei in modo così massiccio dagli anni della rivoluzione sandinista e dello scandalo Iran-contras.
L’escalation iniziata nella primavera di quest’anno e non ancora conclusa altro non è se non l’esacerbarsi di un ciclo di proteste iniziate nel giugno del 2013, che al loro inizio avevano come fulcro domande di maggiore sicurezza sociale in ambito pensionistico: cinque anni fa un gruppo di anziani nicaraguensi protestarono, di fronte all’Instituto Nicaragüense de Seguridad Social situato nella capitale Managua, al fine di ottenere una pensione di anzianità. Si trattava di anziani che pur non avendo raggiunto il quorum di settimane lavorative previste, chiedeva che gli venisse comunque assegnata una pensione minima.
I manifestanti (a cui si erano uniti anche esponenti dell’opposizione, tra cui Luciana Chamorro, nipote dell’ex presidente oppositrice del sandinismo Violeta Chamorro) vennero però aggrediti da gruppi collegati ai sandinisti, con la polizia che non intervenne per difenderli.
Ulteriore elemento di divisione è stata la decisione di Ortega di costruire un canale transoceanico stipulando a riguardo accordi con imprese cinesi, in grado di fare concorrenza con quello di Panama. Nel 2016 le proteste rurali si aggravarono a causa del progetto del canale transoceanico che secondo i suoi detrattori avrebbe danneggiato diverse proprietà agricole.
Tutte queste proteste si inseriscono poi in un paese che non ha mai del tutto risolto i secolari problemi di povertà e disuguaglianza, essendo al 2015 il 29% dei suoi abitanti sotto il livello di povertà. Il Nicaragua ha inoltre il pil nominale tra i più bassi dell’America Latina, per quanto negli anni della presidenza Ortega vi siano stati dei miglioramenti nelle condizioni di vita della popolazione (ha ricoperto tale incarico per tre mandati consecutivi dal 2006 ad oggi).
La scintilla che ha incendiato il Nicaragua ad aprile di quest’anno è nello specifico provocata dalla riforma del sistema pensionistico portata avanti dal presidente Ortega, che prevedeva tra le altre cose un taglio del 5% alle pensioni, riforma che nel giro di cinque giorni provocò grosse manifestazioni in tutto il paese, degenerate in scontri violenti con la polizia che causarono diversi morti, che spinsero Ortega a ritirare la riforma.
Era però troppo tardi: la repressione violenta dei manifestanti aveva ormai gettato benzina sul fuoco, e diede il via ad un ciclo di proteste dalle dimensioni che non si vedevano dagli anni della rivoluzione, proteste a cui Ortega rispose col pugno duro utilizzando la polizia e i paramilitari per disperderle.
Da parte loro, anche alcune frange dei manifestanti non hanno affatto disdegnato l’uso di metodi violenti. Inoltre, la svolta autoritaria di Ortega (che con l’inizio delle proteste del 2018 ha censurato per diverso tempo alcuni emittenti televisive) ha contribuito ad accrescere il malcontento. Diverse parti sociali hanno chiesto ad Ortega, vista la situazione interna, di anticipare le elezioni presidenziali al 2019, ottenendo però un diniego del presidente che ha tacciato di golpismo il chiedere elezioni anticipate.
Nelle ultime settimane la situazione si è talmente deteriorata che perfino alti esponenti della Chiesa nicaraguense non sono stati risparmiati dalle violenze: il vescovo di Estelí mons. Abelardo Mata è infatti stato aggredito a colpi di arma da fuoco mentre stava tornando a Managua con la sua auto, riuscendo però a salvarsi insieme con il suo autista. Tale attentato è stato attribuito a dei gruppi armati vicini al governo.
E non si tratta del primo episodio, dato che anche il cardinale Leopoldo Brenes, il suo vicario José Silvio Báez e il nunzio apostolico Waldemar Stanisław Sommertag sono stati aggrediti verbalmente e fisicamente all’interno della basilica di San Sebastián di Diriamba, località nella quale pochi giorni prima si erano verificati dei violenti scontri. Era dagli anni della dittatura di Anastasio Somoza (proprio quella che venne rovesciata dai rivoluzionari sandinisti nel 1979) che non si verificavano episodi del genere.
Da aprile si contano circa 350 morti a causa degli scontri tra manifestati, paramilitari sandinisti e polizia. A causa delle continue violenze, i turisti hanno abbandonato il paese. Sempre di più sono quei nicaraguensi che si recano all’ufficio migrazione di Managua per espatriare. Con la ripresa, temporanea o meno non è dato saperlo, della città di Masaya (centro abitato a 30 km da Managua divenuto simbolo dell’opposizione al governo) da parte della polizia e dei paramilitari di Ortega, lo scenario nicaraguense sembra sempre più tragicamente proiettato verso la guerra civile.