La Guerra Civile Libanese (1975 – 1991)

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Vero e proprio mosaico di religioni differenti, il Libano è stato il teatro di una feroce guerra civile che per decenni ne ha sconvolto gli equilibri interni dividendo un paese che fino ad allora poteva rappresentare un esempio di tolleranza e convivenza tra fedi diverse, che vivevano pacificamente nello stesso Stato pur con le inevitabili difficoltà ed incomprensioni. La pacifica convivenza per decenni è stata garantita dal Patto nazionale del 1943, ovvero un accordo non scritto fra i cristiani maroniti e i musulmani sunniti libanesi che prevedeva da parte maronita l’accettazione del Libano come Stato arabo e la rinuncia alla protezione francese, e da parte sunnita la rinuncia alla ricerca dell’unione con la Siria. Le cariche del governo vennero inoltre distribuite su base religiosa, con delle quote favorevoli ai cristiani. Il delicato equilibrio garantito dal Patto nazionale negli anni ’70 si ruppe drammaticamente facendo sprofondare il paese nella guerra civile.

Le cause di questo lungo e sanguinoso confitto sono varie, tra di esse vanno citati la recrudescenza delle tensioni inter-religiose tra cristiani e musulmani (ma in un secondo momento anche tra sciiti e sunniti) e la presenza nel paese di decine di migliaia di profughi palestinesi con tanto di milizie armate organizzate dall’OLP e da Fatah (ma non sempre perfettamente controllate). La situazione interna iniziò a deteriorarsi in modo sempre più grave dalla seconda metà degli anni ’60, con tensioni crescenti tra i palestinesi e i cristiani maroniti, tensioni che presto avrebbero riguardato tutte le comunità religiose libanesi. La situazione interna favorì lo sviluppo di milizie armate presso tutti i gruppi religiosi: legate ai maroniti vi erano il braccio armato delle Falangi libanesi (partito maronita) della famiglia Gemayel e le tigri legate al Partito nazional liberale di Camile Chamoun, i drusi erano riuniti nella milizia del Partito socialista progressista di Kamal Jumblatt, gli sciiti in quelle di Amal (movimento populista sciita fondato negli anni ’70 da Nabih Berri) e dal 1985 di Hezbollah. Vi erano poi quei gruppi politici non di ispirazione religiosa ma aderenti ad un’ideologia panaraba e secolarista piuttosto che nazionalista siriana o comunista, quali il Partito nazionalista sociale siriano (SSNP), i gruppi nasseristi, il Partito comunista libanese, e la costola libanese del partito Baath, divisa tra filo siriani e filo iracheni. Nel corso del conflitto si sarebbero progressivamente creati tre grossi schieramenti in campo, il Fronte libanese che includeva i gruppi cristiani di Gemayel e Chamoun, il Movimento nazionale libanese che comprendeva i drusi di Jumblatt, Amal, il Partito comunista ed era alleato con le milizie dell’OLP, e infine le forze armate del Libano, sostenute dall’Onu, dagli Stati Uniti e dalla Francia. A scompaginare i fronti e a distruggere e creare nuove alleanze contribuirono poi gli interventi israeliano e siriano in Libano nel corso della guerra civile.

Le tensioni settarie provocate dall’intensa presenza ed attività dei palestinesi giunsero al punto di non ritorno nel 1975, quando si verificarono dei veri e propri scontri armati con diverse vittime tra i palestinesi e le milizie maronite dei Gemayel. I tentativi di disarmo e distensione portati avanti dalle autorità libanesi si risolsero in un fallimento, nel sottofondo di uno Stato che collassava cedendo il monopolio della violenza alle milizie settarie che si erano create in quel periodo. Fin da subito fu evidente come i civili non sarebbero stati risparmiati dal conflitto: come rappresaglia al massacro di Karantina compiuto dai falangisti, i palestinesi commisero un massacro analogo nel paese maronita di Damour. Queste stragi sarebbero state solamente l’inizio di una triste pratica che nessuno degli schieramenti lesinò di mettere in atto. In questa prima fase del conflitto gli eventi del Libano impensierirono Damasco, e fecero sì che il presidente siriano Hafez al Assad (padre del più noto Bashar) rompesse la neutralità siriana verso le fazioni che si scontravano in Libano e iniziasse a inviare soldati siriani sotto copertura, ufficialmente per difendere i cristiani ma in realtà col fine di impedire la disintegrazione del paese e di portare l’OLP sotto influenza siriana. Nel giugno del 1976 migliaia di truppe siriane entrarono nel paese, iniziando quell’occupazione siriana del Libano che si sarebbe conclusa solo nel 2005 con la Rivoluzione dei cedri. Inizialmente la Siria sostenne i maroniti (in realtà le sue vere intenzioni erano di indebolirli per far sì che fossero costretti a porsi sotto la sua ala protettiva) e si oppose all’OLP e alle milizie di sinistra sue alleate fino al 1978. Nel 1977 il paese era di fatto diviso tra l’area controllata dall’OLP a sud, quella in mano ai soldati siriani a nord est e quella tenuta dai maroniti nel centro nord, Beirut inclusa.

Nel frattempo, le milizie palestinesi dal sud del Libano continuavano a sferrare degli attacchi contro Israele, che nel 1978 decise di rispondervi con l’operazione Litani, ovvero un attacco contro le postazioni dell’OLP per spingerle a nord del fiume Litani e costruire nel Libano meridionale uno cuscinetto che si frapponesse tra Israele e i palestinesi. L’operazione riuscì e l’OLP fu costretto a ripiegare oltre il fiume. Gli israeliani ottennero inoltre il sostegno di una frazione dell’esercito libanese che combatteva i palestinesi, l’Esercito del Libano del sud guidato dal maggiore maronita Saad Haddad, il quale dopo l’operazione Litani iniziò a collaborare attivamente con gli israeliani nel Libano meridionale, che occuparono il Libano fino al Litani imponendovi una zona di sicurezza nota come Stato libero del Libano. Con l’intervento siriano e l’invasione israeliana del Libano meridionale sembrava che le sorti del conflitto stessero volgendosi in favore dei maroniti, ma una serie di eventi avrebbe cambiato presto le carte in tavola. Il Fronte libanese iniziava a scricchiolare sotto le tensioni che contrapponevano i partiti membri, tensioni che nel 1981 esplosero fino ad arrivare al massacro di Safra, in cui i falangisti attaccarono e distrussero la milizia delle Tigri, i cui superstiti confluirono nella Falange. Nel 1980 era inoltre iniziata l’offensiva del Fronte libanese sulla città di Zahleh, controllata dalle forze siriane e dall’OLP, che si concluse con un successo dei maroniti che conquistarono la città. Essendo ormai ai ferri corti coi siriani e non potendo sostenere uno scontro contro Damasco, i palestinesi e le milizie di sinistra, i maroniti cercarono e trovarono un nuovo potente alleato: gli israeliani.

Nell’estate del 1982 le continue schermaglie tra gruppi di palestinesi con Israele fecero sì che quest’ultimo prendesse la decisione di invadere nuovamente il Libano, e questa volta non solo con obiettivi limitati come nel 1978: le Forze di difesa israeliane sarebbero dovute giungere fino a Beirut, sconfiggere i palestinesi e i siriani e instaurarvi un governo amico, ovvero un governo guidato dai maroniti di Bachir Gemayel, con il quale gli israeliani avevano un patto. L’operazione pace in Galilea si svolse senza particolari difficoltà, grazie anche al sostegno armato della Falange, e nel 1982 gli israeliani giunsero ad assediare Beirut. Israele riuscì ad espellere l’OLP da Beirut, ma fallì nell’intento di instaurare un governo maronita dato che Bachir Gemayel, all’indomani della sua elezione presidenziale, venne assassinato in un attentato attuato da un militante del SSNP (è ancora discusso il coinvolgimento siriano nell’attentato). La morte di Bachir provocò l’immediata e feroce reazione dei falangisti, che coperti dagli israeliani entrarono nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila commettendovi un massacro che vide la morte di migliaia di persone. Amin Gemayel venne poi nominato presidente, e il 17 maggio 1983 stipulò un accordo con Stati Uniti ed Israele che prevedeva il ritiro degli israeliani dal paese a patto che fosse garantita la creazione di una zona di sicurezza nel Libano meridionale (riconoscendo di fatto lo Stato fantoccio di Haddad), venendo per questo tacciato di tradimento. La pace venne ad ogni modo resa impossibile dal collasso dell’esercito regolare libanese nel 1984 dovuto al suo abbandono di buona parte di drusi e sciiti, che si sentirono traditi dagli accordi, mentre una serie di attentati suicidi a danno delle forze armate statunitensi di stanza in Libano portò ad una recrudescenza del conflitto. Inoltre, in questo periodo si era affacciato sul Libano un nuovo potente attore regionale: la Repubblica Islamica dell’Iran, ben intenzionata a sostenere i suoi correligionari sciiti al fine di espandere il khomeinismo in Libano. Di tale politica giovò soprattutto Hezbollah, partito politico e milizia sciita sorto nel 1985.

I timori siriani di un’eventuale futura presenza palestinese in Siria, che avrebbe potuto sconvolgere gli equilibri di uno Stato governato dalla minoranza alawita essendo loro sunniti, fece sì che Assad organizzasse una coalizione guidata da Amal per garantire la fuoriuscita dell’OLP dal Libano, provocando nel 1985 lo scoppio della guerra dei campi che vide fronteggiarsi Amal, i siriani e le forze armate libanesi con l’OLP, Fatah, il Partito comunista, il Partito socialista progressista ed Hezbollah, guerra sostanzialmente inconcludente che finì nel 1986. Nel 1987 il primo ministro libanese Rashid Karami venne assassinato (si sospetta ad opera di Samir Geagea, comandante delle Forze libanesi, appoggiato dall’esercito libanese), e Amin Gemayel, contravvenendo al Patto nazionale che prevedeva come tale incarico dovesse essere affidato a un sunnita, nominò primo ministro il generale Michel Aoun, di fede maronita. Ritenendola una violazione del Patto nazionale, i musulmani rifiutarono di riconoscere Aoun e nominarono primo ministro Selim Hoss, frammentando ulteriormente il paese: Aoun governava su Beirut est, Hoss su Beirut ovest. La situazione era inoltre complicata dall’entrata in scena dell’Iraq nel conflitto libanese, Iraq che in funzione anti-siriana e soprattutto anti-iraniana sostenne i maroniti. Nel tentativo di governare tutto il paese, il generale Aoun, sostenuto da Saddam Hussein, lanciò una guerra di liberazione contro i siriani e contro le milizie che li appoggiavano, accusando Hafez al Assad di voler annettere il Libano alla Siria, venendo però sconfitto e costretto all’esilio, sconfitta dettata anche dal fatto che Saddam fosse troppo impegnato in Kuwait per dirottare preziose risorse belliche ai maroniti in Libano. La sconfitta di Aoun e il conseguente aumento dell’influenza siriana nel paese rese possibile l’inizio di dei negoziati tra le fazioni in lotta che avrebbero portato agli Accordi di Taif nel 1989 che posero fine alla guerra. Tali accordi prevedevano la legittimazione della presenza siriana in Libano come garante della pace, teoricamente limitata a soli due anni (di fatto si sarebbe protratta fino al 2005), l’affermazione della sovranità di Beirut sul Libano meridionale allora occupato da Israele (occupazione che terminerà solo nel 2000), e soprattutto la modifica delle quote politiche previste per i musulmani dal Patto nazionale in senso favorevole per questi, raggiungendo la parità con i cristiani. Nel 1991 venne varata un’amnistia che riguardò la maggior parte dei crimini commessi durante la guerra, e nel medesimo anno vennero disarmate tutte le milizie (ad eccezione di Hezbollah). Con il disarmo delle milizie la guerra civile libanese potette dirsi finalmente conclusa.