La Tv è Pazza dell’Aristocrazia: Downton Abbey e il Ritorno al Passato

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un deciso aumento di interesse nei confronti delle tradizionali monarchie europee, al di là della tendenza al bieco pettegolezzo che da sempre le vede protagoniste. Ciò potrebbe risultare in apparenza contradditorio: perché, infatti, nel bel mezzo della recessione economica guardare con ammirazione a quel che resta del vecchio ceto aristocratico, simbolo della disuguaglianza sociale per eccellenza? Re abdicano mentre regine irremovibili aprono di buon grado a nozze con esponenti della media borghesia. Il tutto – si dirà – per dare nuova linfa ad istituzioni ormai prive di smalto ed offrire un elegante diversivo all’opinione pubblica, preoccupata da ben altro.

Forse. In realtà la risposta non può essere così facile. Non è infatti un caso che la serie Downton Abbey costituisca un cult planetario – viene distribuita in 220 Paesi – e che sia entrata nel Guinness dei primati per quantità di riconoscimenti (tra cui numerosi Emmy, Bafta e Golden Globes), qualità di critiche e diffusione di pubblico (12 milioni di persone solo nel Regno Unito). Il telefilm, nato dalla penna di Julian Fellows, barone di West Stafford, sceneggiatore da Oscar, attore e scrittore di bestsellers (per i quali è stato recentemente ospite al Festival della letteratura di Mantova), lungi dall’essere una noiosa serie in costume edoardiano, racconta le vicissitudini di una magione nobiliare inglese degli inizi del ‘900. Questo splendido palazzo, situato a pochi chilometri da Londra, è abitato dai Crawley, l’aristocratica famiglia dei proprietari e da una schiera di fedeli servitori.

I due ceti differenti, divisi da una scala, consci del proprio ruolo all’interno della società, mostrano un’inaspettata umanità reciproca, nel rispetto di un passato noblesse oblige, ed affrontano i cambiamenti storico-culturali che vanno dal 1912 al 1939: il naufragio del Titanic, due guerre mondiali, la crisi del ’29. Ne deriva un compendio delle più diverse personalità che, seppur ingessate all’interno della propria rigida posizione, perdono poco a poco ogni certezza in un contesto sociale in rapida evoluzione, non ancora comprensibile. Così, la morte si fa più vicina, la tecnologia (il telefono, l’elettricità) rivoluziona gli stili di vita, la precaria situazione economica spinge a scelte drastiche. Non c’è giudizio, né stereotipo. Non esistono personaggi positivi o negativi, ognuno porta in sé la contraddizione umana, un punto di vista condivisibile solo se nell’ottica della propria condizione. Sopravvive unicamente chi riesce ad evolversi, senza snaturarsi.

Ed è allora che emerge il motivo di questa nostalgica immedesimazione: quell’aristocrazia rappresenta, infatti, il disperato tentativo di adattarsi ad un futuro indefinito, sapendo di dover abbandonare le logiche di una società destinata a scomparire. Tale realtà, con le dovute differenze del caso, si rivela, anche oggi, tremendamente tangibile. I risultati di questo inevitabile processo potranno vedersi solo in un prossimo futuro; per i più impazienti, invece, non rimane che aspettare il 21 settembre, data in cui la quinta stagione di Downton, trasmessa dall’emittente britannica ITV, avrà inizio.