Quando il 4 Luglio 1845, Henry David Thoreau – filosofo e poeta trascendentalista americano – decise di trasferirsi sulle sponde del lago Walden (Concord, Massachusetts) in una spartana capanna di legno da lui stesso costruita, lo fece dietro un triplice, profetico comandamento: “Semplicità, semplicità, semplicità”. Quel culto dell’indipendenza che così particolarmente aveva costituito l’esperienza filosofica Thoreauviana nel XIX secolo – sicuramente meno la ricerca della sobrietà – è da allora stato talmente assimilato nel carattere di ogni individuo statunitense, da divenire il cardine di un’intera cultura.
Oggi tale spirito può dirsi risorto. Ad invocarlo, come nuova ragion di vita, sono i millennials ed il neonato Tiny House Movement (letteralmente “il movimento della casa minuscola”). Questa controcultura architettonica e sociale, che sostiene una vita semplice in residenze di piccole dimensioni, deve la propria nascita a Sarah Susanka, architetto britannico, e al suo best-seller “The Not So Big House” (1997). Un cambiamento radicale, se si considera il recente trend che ha visto negli USA aumentare le dimensione medie delle residenze familiari da “soli” 165 m2 nel 1978, ad oltre 230 m2 nel 2007.