Nell’era dei social media e di un’esposizione mediatica da cui, anche volendo, sarebbe impossibile nascondersi, le gaffe, scandagliate dall’occhio attento del web, sono ormai all’ordine del giorno. Come dimenticare, per esempio, il video in cui l’ex premier Matteo Renzi, nel corso del Digital Venice, si lanciò in un vero e proprio monologo, rivelando a tutti la sua poca (leggasi quasi inesistente) confidenza con la lingua inglese?
Nonostante la consapevolezza di vivere in un’era globalizzata in cui i popoli sono interconnessi, i politici di mezzo mondo sembrano avere difficoltà ad adattarsi ad un sistema di relazioni tra Stati in continuo cambiamento, evidenziando una notevole crisi di comunicazione, dove la conoscenza della lingua inglese continua a rimanere un territorio ai più sconosciuto.
Ma se pensiamo che Renzi possa averci messo in cattiva luce, compromettendo la nostra credibilità sulla scena internazionale e confermando lo stereotipo di un italiano approssimativo persino nell’suo della lingua istituzionale, è solo perché non siamo a conoscenza di quello di cui sono capaci gli altri capi di stato.
Il 16 giugno 2009, nell’ambito del summit internazionale dell’organizzazione di Shanghai per la cooperazione, tenutosi in Russia, l’allora presidente iraniano Ahmadinejad e il presidente russo Medvedev apparvero davanti alle telecamere per le rituali strette di mano. Un semplice incontro tra capi di stato, che però, di lì a poco, sarebbe entrato nella storia……… del web.
Alla domanda di Medvedev “How are you?”, infatti, Ahmadinejad rispose con un tanto inaspettato quanto improbabile: “Yes, Happy new year”.
Ora, considerato che il capodanno persiano, il Now – ruz, viene celebrato il 21 di marzo e che quello russo coincide con quello gregoriano, pare difficile trovare attenuanti al brutto scivolone linguistico del numero uno iraniano, se non una predisposizione, quasi naturale, dello stesso a ridicolizzarsi.
Vero è che, mentre Ahmadinejad diventava ancora una volta bersaglio del web, migliaia di cittadini iraniani si riversavano nelle strade di Teheran per contestare il risultato delle elezioni presidenziali, che avevano visto la Repubblica islamica truccare il voto popolare, dato al candidato riformista Mousavi, in favore della rielezione Ahmadinejad.
Da lì a poco, le proteste pacifiche, che furono rinominate “rivoluzione verde”, furono sedate dalla repubblica Islamica con estrema violenza, dando luogo a detenzioni e torture che costarono la vita a 34 persone.
Una situazione che però passò in secondo piano in quello stesso incontro, visto che il presidente Dmitry Medvedev si congratulò con Ahmadinejad per la rielezione, esprimendo la speranza che l’amichevole relazione tra Tehran e Mosca potesse essere rafforzata per assicurare pace e stabilità alla regione, tralasciando così lo strazio e le sofferenze del popolo iraniano.