Poco prima della sua uscita di scena, il Dicembre scorso, l’ormai ex presidente americano Barack Obama, grazie all’astensione degli Stati Uniti, aveva appoggiato la risoluzione ONU che, con 14 voti a favore, aveva condannato gli insediamenti israeliani in Palestina. Per la prima volta nel palazzo di vetro, il dietrofront statunitense, rispetto alle pressanti richieste di Trump e Netanyahu, che spingevano per il veto USA, l’ONU ha raggiunto un risultato storico, definendo gli insediamenti nei territori occupati della West Bank “illegali”.
A quasi un mese di distanza, Israele, una settimana fa, ha annunciato l’entrata in vigore del “regular bill”, una legge che legalizza retroattivamente 4000 insediamenti israeliani in Giudea e Samaria, nel territorio della Cisgiordania. La Knesset (il parlamento monocamerale israeliano) ha approvato con 60 voti a favore e 52 contrari la messa in regola di abitazioni non autorizzate su terreno palestinese. La decisione della camera ha subito attirato le controversie reazioni della comunità internazionale, facendo ancora una volta di Netanyahu uno tra i leader certamente meno simpatici al mondo.
La risoluzione Onu di dicembre pare, infatti, essere stata una forma di rivincita dell’ex presidente Obama su Benjamin Netanyahu, che negli otto anni di amministrazione Obama aveva dimostrato tutta la sua ostilità e reticenza nel voler arrivare a una reale soluzione di pace con il popolo palestinese. Tuttavia, i difficili rapporti di Netanyahu con i leader occidentali non sono certo una novità, così il suo unilaterale, e spesso superbo, approccio alle questioni internazionali ha attirato l’antipatia di molti. Nel 2011, l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, durante il G20, a Cannes, in una conversazione privata con Obama catturata dai media, aveva etichettato il premier israeliano come un bugiardo, aggiungendo di non poterlo più sopportare. Anche Obama, in quell’occasione, non seppe trattenere il debole feeling instauratosi con il primo ministro israeliano, replicando: “Tu sei stanco di lui, ma io devo interagire con lui più spesso di quanto devi fare tu”.
L’accaduto, su cui aveva lo stesso Netanyahu inizialmente decise di non commentare, attirò le attenzioni dell’allora vicepremier Silvan Shalom affermò che la cosa che più contava era che gli Stati Uniti e la Francia fossero ritenuti alleati ed amici di Israele.
Vero è anche che l’amministrazione israeliana, governata da anni dal partito del Likud, non sia stata campionessa di simpatia e che la nuova legge sugli insediamenti in Cisgiordania metta ancora di più in pericolo un processo di pace mai realmente iniziato che rischia di sfociare in un’ennesima ondata di violenze.