SmartAnalytica nasce dall’idea di poter offrire al lettore una panoramica sintetica (snapshot) dei fatti salienti della settimana in ambito geopolitico e macroeconomico, in modo da catturare i trend essenziali dei poteri economici e politici mondiali. Inoltre, accostando all’elemento di cronaca una profondità critica di analisi, la rubrica integra all’aneddotica giornalistica il modello di reportistica di società non governative e think tank, in modo da accostare insieme temi, pensieri e azioni che possono sembrare disgiunte, ma che infine fanno parte di un unicum all’interno del mondo finanziario e delle relazioni internazionali. SmarAnalytica costituisce l’appuntamento fisso per curiosi e specialisti determinati ad approfondire, in un’ottica alternativa ma coerent,e gli avvenimenti più significativi della settimana in ambito global, per rimanere al passo con gli l’andamento dei poteri forti, senza tralasciare il pensiero critico di uno sguardo innovativo sul mondo.
Elezioni! Elezioni! Elezioni!
Argentina – Questa domenica il popolo argentino tornerà alle urne nell’ultimo round delle elezioni presidenziali, per sancire definitivamente chi sarà il prossimo capo di stato, dopo che i favoriti Scioli e Macri non hanno ottenuto abbastanza voti per vincere alla prima occasione. Il risultato di fine Ottobre ha di fatto disatteso le predizioni degli opinion polls, che davano favorito Scioli, e dunque una linea politica improntata alla continuità: il Frente Para la Victoria ha guidato il Paese in maniera controversa per gli ultimi 12 anni, e l’erede alla carica presidenziale si appresta nuovamente a esser “uno di loro”. Tuttavia, l’impossibilità di determinare un vincitore durante il primo round elettorale è sinonimo di un malcontento diffuso tra la popolazione, che crede nella possibilià di un rinnovo finanziario ed economico per il proprio Paese, nonostante la leadership attuale sia costretta a sostenere gli oneri verso la comunità internazionale (80mld di riserve valutarie nel 2007 ridotte a 20mld oggi) e impedisca una coerente crescita economica (inflazione intorno al 40%). L’Argentina è sull’orlo del cambiamento per il nuovo, ma determinare quale leader si impegnerà a portare avanti un netto miglioramento rimane prematuro, dal momento che entrambi i candidati intendono distaccarsi dalle politiche precedenti.
Birmania – Un paese in festa, un popolo che per la prima volta in 25 anni si è espresso alle urne in favore di una leadership democratica e moderata, per rompere con il passato e con lo stesso regime militare che ignoro’ l’ultimo risultato politico dichiarandolo nullo, imprigionando dissidenti con repressioni sanguinose e paralizzando il paese per anni a venire (“the Lady”, Aung San Suu Kyi, era agli arresti). Se è vero che una volta riconquistata la libertà di espressione e ottenuto un premio Nobel per la pace, le dichiarazioni di sconfitta a Reuters dal Presidente Thein Sein incorniciano la vittoria di Suu Kyi e della sua National League for Democracy, ancora non sembra esser stata sancita l’ufficialità e il campo d’azione della nuova legislazione. Da alcune indiscrezioni si evince che i militari non abbiano intenzione nè di cedere i ministeri degli interni e della difesa, nè di supportare gli amendamenti costituzionali necessari per un governo innovativo, stabile e democratico (25% del parlamento è riservato a nomine militari). La falsa riga del 1990 è ancora in atto, più silenziosa ed insidiosa, ma pone un grande ostacolo per la tanto attesa governance democratica, a tal punto che il dialogo con le minoranze musulmane del Paese è in una fase di stallo, dovuta tanto all’esercito, quanto alla ragione politica della NLD. Forse è opportuno riconoscere che alcuni paesi non sono pronti ad accogliere un regime democratico piuttosto che decantare in maniera idealista l superiorità della democrazia come forma di governo idilliaca. Che il Myanmar sia tra questi?
Croazia – Gli exit polls hanno fallito di centrare il risultato effettivo anche nel corso delle ultime elezioni legislative in Croazie, dove era attesa una netta vittoria del partito conservatore (Hdz) sull’alleanza di centro sinistra (Sdp) guidata dal Premier uscente, che tuttavia non si è materializzata, favorendo invece un testa a testa tra la coalizione di sinistra e il partito di destra dell’ex capo dei servizi di intelligence Karamarko. Non c’e’ da stupirsi quindi se dopo 6 anni in recessione, e con più di 300,000 migranti in transito solo lo scorso anno, la Croazia si è espressa a favore di una retorica nazionalista, per la prima volta dopo l’ingresso nell’UE. Ma i riflettori sono puntati sulla vera sorpresa politica e ago della bilancia di queste elezioni, ovvero il Most, partito di centro di soli 2 anni che si è aggiudicato il 19% dei seggi, e promette di esercitare una leva fondamentale sulle rispettive coalizioni di destra e sinistra. Infine, cio’ che conta è che il governo non sarà in grado di redarre a breve le riforme necessarie per contrastare la disoccupazione rampante (16%); per quanto riguarda la posizione xenofoba emersa a tratti durante la campagna dell Hdz, non sembrerebbe necessario preoccuparsi, dal momento che la linea del partito è sia pro-Europa sia vicino ai Democratici tedeschi. Gli scenari incerti sono altri e tutti legati alla sfera politica, ovvero: 1) si formerà un governo di larghe intese come in Italia, dominato dall’establishement? 2) Oppure si rischia di tornare alle elezioni se l’opposizione negozia con il centro? In entrambi i casi, la ripresa economica dovrà attendere, a scapito dei milioni di votanti che confidano nei compromessi politici di un parlamento in bilico.