Nella mitologia greca il dono della profezia tendeva ad associarsi all’handicap dell’incomunicabilità; il profeta spesso era cieco o portatore sano di qualche maledizione; perché la verità di un futuro possibile o inevitabile era considerata un bene di origine divina non facile da amministrare, politicamente ambiguo e letale.
A volte, la profezia non era creduta. Cassandra, ad esempio – ragazza ‘simile a un’Afrodite d’oro’, a detta di Omero – di cui Apollo si invaghisce, riceve il dono della profezia, ma rifiuta di trastullarsi eroticamente con il dio, il quale, per ripicca, le sputa in bocca impedendole per sempre di farsi capire.
Altre volte, la profezia era creduta, ma richiedeva un sapiente filtro interpretativo. Nel racconto di Erodoto, Temistocle consulta l’oracolo di Delfi, e la Pizia profetizza che Atene sarebbe stata difesa da un muro di legno; lo stratega ci pensa su, poi ordina di costruire la flotta di navi agili e strette che avrebbero garantito la vittoria contro i Persiani nella celebre battaglia di Salamina del 480 a.C.
Oggi la saliva di Apollo ha perso il suo potere e la Pizia delfica ha ceduto i diritti a Google. Chiunque può essere profeta, postando qualcosa sul web, twittando promesse, slogan, minacce che, come per una reazione chimica istantanea, da parole buttate lì un po’ a caso sublimano in azioni, altrettanto sconsideratamente volatili, ma decisamente più tossiche.
Profezia e tecnologia rischiano di fondersi con rapidità supersonica dando luogo al fenomeno della tecnoprofezia, per cui ciò che viene detto, nell’attimo in cui Internet notifica la sua esistenza, diventa dato, qualcosa che è già successo o che succederà a breve e che, comunque, non offre subito alcun motivo per non essere creduto, ma molte ragioni per infiammare un fanatismo mediatico sui social e una follia evitabile in quello che dovrebbe essere il mondo non virtuale.
Mercoledì 7 gennaio 2015, ore 11.30. Due cittadini francesi in abiti militari parcheggiano la loro Citroen C3 nera, scendono dall’auto, entrano nella redazione di Charlie Hebdo, scaricano i kalashnikov sulla redazione del giornale, risalgono in macchina e si allontanano. Il loro profeta è stato vendicato.
Per la stessa data era stata annunciata la presentazione di Soumission, romanzo (dal 15 gennaio in vendita anche in Italia) già al centro di polemiche prima della sua uscita, in cui l’autore Michel Houellebecq profetizza il successo alle elezioni presidenziali del 2022 di un partito islamico che riesce a battere il Front National di Marine Le Pen: destra e sinistra si uniscono per sostenere il neopresidente musulmano Mahammed Ben Abbes nell’islamizzazione dell’intera Unione Europea, secondo i principi della sharia più conservatrice.
Nelle ore precedenti, sulla pagina Facebook del settimanale satirico, era apparsa una vignetta provocatoria firmata dal direttore Charb raffigurante un jihadista armato di kalashnikov: ‘Oggi nessun attentato in Francia… Aspettate! Entro la fine di gennaio vi faremo gli auguri’.
La replica immediata dei jihadisti, nonché l’ultimo tweet di Charlie Hebdo, quindici minuti prima dell’attacco, è una vignetta su Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isis. Nell’immagine si vede il califfo augurare buon anno e ‘buona salute a tutti’.
L’uscita di Soumission si lega simbolicamente al botta e risposta mediatico precedente l’attentato. Tuttavia, il libro di Houellebecq non è traducibile in un diretto attacco politico nei confronti dell’Islam; è, bensì, il racconto di François, professore universitario giunto all’apice della sua disidratazione intellettuale, che per inerzia si lascia assorbire da una quotidianità per cui prova solo un senso di nausea e indifferenza. Gli elementi più ricorrenti nelle pagine del romanzo sono, infatti, il microonde crepitante, baloccamenti sterili con Huysmans, occasionali incontri sessuali (per lo più anestetici) e stralci di dibattiti politici echeggianti da una TV quasi sempre accesa, ma che per contrattempi vari François non vuole o non riesce mai ad ascoltare.
Il vero tema di Soumission, l’impulso che porta il protagonista a sottomettersi/convertirsi all’Islam, non è di natura religiosa né politica; è, piuttosto, da ricondurre all’esperienza stessa del quotidiano vissuto meccanicamente; esperienza intesa come processo di assuefazione a ciò che si crede (o si comincia a credere) concausalmente logico e che in quanto tale si accetta per abitudine.
Soumission è dunque un romanzo che a posteriori può essere decifrato come critica all’abitudine del non dialogo implicita nella nuova incomunicabilità diffusa dalla tecnoprofezia, di cui il caso Charlie Hebdo testimonia i non trascurabili effetti collaterali.