Non c’è manifestazione al mondo che abbia più appeal del South By Southwestsu quel mondo indipendente e creativo che unisce start-up, cineasti rigorosamente off Hollywood e indie band di ogni genere ed estrazione: ogni anno, dal 1987, ad Austin, Texas, si radunano musicisti, registi, imprenditori per dare vita alla rassegna più rilevante sul panorama mondiale. Un’immensa vetrina che, da trampolino di lancio su scala locale, anno dopo anno è stata capace di affermarsi come uno degli appuntamenti immancabili per il gotha del mondo della cultura, della tecnologia e dell’imprenditoria mondiale. E a dare la misura di cosa significhi, oggi, il SXSW – come viene abbreviato comunemente – sono le personalità chiamate per il keynote speech, il discorso inaugurale che edizione dopo edizione ha aperto la rassegna: se negli anni passati a tagliare idealmente il nastro della manifestazione sono stati (tra gli altri) Bruce Springsteen e Dave Grohl, quest’anno a fare gli onori di casa è stato chiamato nientemeno Barack Obama, atteso solo qualche giorno a Cuba per una visita che verrà iscritta nei libri di storia.
Però non è tutto oro quel che luce: in tutti questi anni il SXSW è cambiato, uno dei suoi fondatori – Louis Meyers – è scomparso e le grandi corporation, fiutato il terreno più che fertile per fare affari, hanno lanciato il proprio arrembaggio.
La cosa non sfuggì in prima battuta a Zachary Cole Smith, a capo dei newyorchesi DIIV, che invitato a suonare all’edizione 2013 del festival tracciò un bilancio tutto meno che positivo dell’esperienza: “Al SXSW la musica è l’ultimo dei problemi. Cinque minuti per piazzarti su un palco, niente soundcheck, per un quarto d’ora di concerto. L’elemento musicale viene sì esibito, ma è la prima cosa a essere oggetto di compromesso. I soldi delle multinazionali, da queste parti, sono ovunque, tranne che nelle tasche degli artisti: e qui non si fa altro che celebrare la rete mondiale delle multinazionali stesse. Ci sono solo cretini delle multinazionali ubriachi che vanno a braccetto con gli altri vampiri della discografia in cocaina”.
I soldi delle multinazionali ovunque meno che nelle tasche degli artisti li notarono anche gli Ex Cops, altra band di New York che fu chiamata ad esibirsi al festival in uno spazio sponsorizzato dal colosso della ristorazione McDonald’s. Niente di male, in sé, se non fosse che il ricco sponsor, al gruppo, non avesse promesso nemmeno un rimborso spese simbolico: “McDonald’s ci ha chiesto di esibirci presso il loro spazio al South by Southwest, prospettando ‘una grande opportunità in termini di visibilità’ e assicurandoci la presenza in loco del loro ‘team digitale globale per un aiuto nella promozione'”, spiegarono sul loro account Facebook ufficiale, “Ci siamo chiesti se una grande corporation come McDonald’s, valutata attualmente oltre 90 miliardi di dollari, volesse pagare, anche poco, i talenti che ha scelto e contattato, e la risposta è stata: ‘Sfortunatamente non è previsto budget per gli artisti'”.
Cosa rimane, quindi, sotto l’hype di una delle manifestazioni più seguite dai media e più anelate da artisti e addetti ai lavori? Siamo andati a chiederlo a un gruppo italiano, i Platonick Dive di Livorno, che al SXSW ci è andato davvero: senza il patrocinio di etichette, enti o altre sovrastrutture, il trio toscano si è messo in gioco e ha preso parte in veste di ospite all’edizione 2016 dell’happening. Pagando di tasca propria 3000 euro tra biglietti aerei, stanze d’albergo e noleggio di attrezzature, la band ha varcato l’oceano e si è fatta valere sul palco dell’Hideout Theatre di Austin. E dell’esperienza traccia un bilancio più che positivo: “Lo rifaremmo anche domani, e consiglio a tutti i gruppi, qualora dovesse presentarsi la possibilità, di fare qualche sacrificio e non privarsi di un’esperienza del genere”. Per almeno due buone ragioni, una delle quali prettamente discografica: “Non abbiamo un’etichetta che curi la distribuzione dei nostri dischi negli USA, ma pensiamo sia meglio che un nostro album finisca nelle mani del più piccolo discografico indipendente americano che in quelle di chiunque, in Italia”, ci hanno raccontato loro, “L’atteggiamento lì è molto diverso da quello che in tanti tengono qui: in Italia con 20mila visualizzazioni di un video ci si sente degli eroi, così capita di incrociare lo stronzetto con la chitarra che sta vivendo i suoi due mesi di gloria che si crede chissà che personaggio. Ad Austin abbiamo incrociato per caso gli Explosions in the Sky e si sono dimostrati persone normalissime e gentili. Negli USA non importa quanto sia il tuo fatturato come band o artista, i rapporti sono molto più essenziali. Per questo abbiamo già attivato dei contatti aperti grazie al SXSW per tornarci, magari quando uscirà il nostro prossimo disco…”. A quanto pare, quindi, c’è ancora vita là fuori, sotto il grande e assolato cielo del Texas…