Famoso, temuto, rincorso e a volte pure rinnegato. Sempre e comunque protagonista. Il riferimento non è ad un famoso divo hollywoodiano o a chicchessia, bensì ad un indicatore finanziario: lo spread.
Con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani nel settembre 2011, l’ormai celeberrimo differenziale di rendimento tra Btp e Bund a 10 anni (ma più in generale, tra due obbligazioni, di cui una solitamente a basso rischio) ha finito col monopolizzare l’attenzione di organi di stampa e opinione pubblica. E ciò è avvenuto partendo da un presupposto fondamentale, quello secondo cui il costo dei debiti pubblici nazionali sarebbe da imputare principalmente alla condotta degli Stati e alle politiche da essi promosse, ovvero alla tanto decantata capacità di “fare le riforme”. Cause interne, dunque, basterebbero a spiegare il perché della salita e discesa dei rendimenti obbligazionari.
Andare oltre questa prospettiva, però, può essere necessario per comprendere in modo migliore il “fenomeno” spread. In un articolo di Giuseppe Di Gaspare, professore ordinario di Diritto dell’economia presso l’università LUISS Guido Carli di Roma, si ricorre al termine “anamorfosi” (tecnica di raffigurazione di un oggetto secondo una prospettiva diversa da quella centrale) per sottolineare la tendenza diffusa a trascurare l’incidenza prodotta da fattori esterni sul tasso di interesse dei debiti pubblici dell’Eurozona. Tali fattori comprenderebbero movimenti speculativi sui flussi monetari e annesse conseguenze sui tassi di cambio (con riferimento inevitabile al fenomeno del carry trade).