Sotto una pioggia incessante nella Città Eterna, il 25 marzo 1957 si firmano i Trattati costitutivi della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica.
Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo si riuniscono in Campidoglio per fondare le basi di un nuovo percorso privo di quei nazionalismi che avevano imperversato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Così, tra le bandiere incapaci di sventolare e i rintocchi della “patarina”, storica campana del Campidoglio, inizia la cerimonia nella Sala degli Orazi e dei Curiazi. A rappresentare l’Italia c’è il Presidente del Consiglio on. Segni accompagnato dal Ministro degli Esteri on. Gaetano Martino, i primi firmatari degli accordi.
È ufficiale, sono iniziati i lavori per costruire l’attuale Unione Europea, per creare un unico blocco capace di dialogare a Ovest con l’America e a Est con le potenze di Russia e Cina. In quel piovoso pomeriggio di marzo le risposte sono ancora avvolte da una nebulosa di incertezza, l’unica guida da seguire è la consapevolezza che gli orrori vissuti negli anni Quaranta restino solo un capitolo buio della storia dell’umanità e non si ripetano.
Si assiste a un passo nella Storia, come direbbe Terzani: motivo per il quale le telecamere installate all’interno della sala permettono a milioni di cittadini di seguire la catarsi di un’Europa distrutta dalla guerra.
Oggi si celebra il suo sessantesimo compleanno, ma l’aria che si respira è molto lontana dall’entusiasmo festivo. Infatti, i malumori dilaganti percepiscono solo i difetti, le manchevolezze e i passi falsi compiuti dalla UE, senza ricordare il vero motivo della sua nascita o la serenità che ha donato ai suoi membri. Motivo per cui quest’anno l’Europa è al centro della scena non tanto per i festeggiamenti dell’anniversario, quanto per essere analizzata e criticata per le sue decisioni.
Al momento, l’UE si ritrova circondata da minacce e dai suoi cittadini pronti a puntare il dito contro ogni passo verso l’internazionalizzazione e l’integrazione. Timorosi delle possibili evoluzioni che la globalizzazione impone, gli Stati membri sembrano aver dimenticato la promessa di mettere da parte i nazionalismi per il bene dell’umanità, e stanno regredendo verso una chiusura contro il resto del mondo. D’altro canto, però, i sostenitori dell’unione non sono abbastanza numerosi, o forse sono semplicemente poco incisivi, da contrastare i populismi dilaganti e l’innalzamento dei muri nazionalisti.
Questo limbo di incertezze e paure ricorda un po’ la nebulosa nella quale brancolavano le delegazioni in quel 25 marzo 1957, con la sola eccezione che sessant’anni fa gli stessi Ministri erano sicuri dell’obiettivo da raggiungere, avevano solo dubbi sul percorso da fare. La percezione che si ricava dalla situazione attuale è di un’Europa indecisa sugli intenti e sicura solo di ciò che non vuole.
Ma se si guarda l’attuale UE con gli occhi di quei cittadini che stavano incollati agli schermi in quel pomeriggio degli anni Cinquanta, si può vedere un insieme di Stati incapace di dialogare, talmente eterogeneo nei sistemi economici e culturali da non riuscire a trovare punti in comune. A questo punto, probabilmente, il principio dei ritmi e degli obiettivi diversificati (che permette alle nazioni più all’avanguardia di crescere più rapidamente senza essere rallentate dalle necessità di quelle arretrate, ndr), annunciato oggi da Bruxelles, potrà garantire la sopravvivenza dell’UE e ripristinare il consenso negli Stati membri.