Daniel Kahneman è senza dubbio un economista fuori dal comune, in grado, grazie alle sue idee, di affascinare il pubblico come pochi altri e, allo stesso tempo, di suscitare dubbi e qualche imbarazzo fra i suoi colleghi. Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2011, si è in realtà formato come psicologo alla Hebrew University of Jerusalem e poi alla University of California Berkeley, evolvendosi nel corso delle sue ricerche in un “social scientist” a 360° gradi.
Fin dalla nascita, ha vissuto sulla propria pelle alcuni fra i più importanti momenti storici del secolo scorso: nato nel 1934 a Tel Aviv da una coppia di profughi lituani fuggiti dall’Unione Sovietica, è cresciuto a Parigi durante l’occupazione nazista, per poi trasferirsi nel neonato stato di Israele, partecipandone attivamente alla costruzione lavorando nel dipartimento di psicologia delle Forze di Difesa Israeliane. Dopo una lunga e onorata carriera fra Israele, Canada e Stati Uniti, è ora professore del Dipartimento di Psicologia a Princeton.
Il noto economista Steven Levitt si è preoccupato di dare una definizione perfetta per Kahneman: “Probabilmente non c’è altra persona al mondo che riesca a capire meglio di lui come e perché ciascuno di noi compie le proprie scelte”. Attraverso la sua esperienza personale, i numerosi esperimenti condotti e la ricerca empirica, Kahneman è riuscito a sviluppare una serie di teorie che spiegano come la mente umana riceva ed elabori gli input esterni, e come conseguentemente formuli delle conclusioni e compia delle scelte. Il fine di tale lavoro è mettere a nudo la grande quantità di imperfezioni – di “bias” e di procedimenti euristici – che caratterizzano il pensiero umano e che lo rendono per tanto tutt’altro che perfettamente razionale, dove per razionale si intende coerente con l’evidenza empirica disponibile e capace in effetti di basare le proprie conclusioni su informazioni correttamente interpretate e, se possibile, consolidate da leggi statistiche.