“E’ la cifra delle ultime tre stagioni: il Sud delle università perde immatricolati, iscritti, laureati. Anche l’analisi dei dati 2014-2015, pubblici con l’Anagrafe nazionale degli studenti universitari elaborata dal Miur e in via di assestamento, dice che gli atenei meridionali hanno perso in dieci anni 45 mila iscritti. […] C’è che il calo dei laureati è di 37.616 unità, il peggiore dalla stagione 2003-04, gli ultimi dieci anni ecco. Vuol dire che molti studenti si perdono per strada, che gli atenei italiani non si riempiono solo di fuoricorso, ma di giovani che abbandonano perché non ce la fanno sul piano economico, perché trovano un lavoro che non richiede il diploma di laurea, perché non credono più nella funzione di acceleratore della propria vita da parte dell’università italiana.”
Quanto appena affermato è stato riportato statisticamente su “Repubblica” e finalmente – e lo sottoscrivo -, mostra a chiare lettere la situazione critica del nostro Paese. Perché se c’è una crisi, ed essa va superata, allora bisogna partire dall’istruzione. In quanto un giovane di vent’anni anni che non ripone alcuna fiducia nel sistema istruttivo del proprio Paese è manifestazione evidente di un primo grande fallimento. Il più allarmante di tutti. Significa aver perso non soltanto la credibilità – ergo le nuove generazioni non ritengono possibile crescere con ciò che viene offerto e proposto – ma soprattutto la speranza. Si parla tanto di cervelli in fuga, di arrestare e rafforzare le barriere attraverso iniziative e pubblicità ma alla fine ciò che resta è soltanto qualche bello slogan costruito ad hoc come la voce di chi lo pronuncia, dimenticando che le università italiane sono le prime vittime del nefasto generale. Tuttavia non bisogna generalizzare.