Recentemente avevamo riportato su queste pagine i toni allarmistici con cui Andrew Haldane, chief economist della Bank of England, avvertiva il pubblico raccoltosi presso la Univerity of East Anglia circa le potenziali responsabilità da attribuire alle moderne tecnologie comunicative – si vedano in primis, Facebook e Google – per una delle problematiche economiche più discusse all’interno dei circoli accademici: la stagnazione secolare.
L’argomentazione di Haldane si risolveva attorno ad un drastico cambiamento, a suo avviso registratosi a partire dall’avvento di Internet, nelle preferenze intertemporali degli agenti economici – un tempo individui pazienti, oggi incapaci di posporre nel tempo i momenti di gratificazione. Sicuramente degna di un’attenta riflessione, la diagnosi dell’economista lasciava intravedere un infausto futuro, in cui l’attenzione – drasticamente ridotta – dei consumatori veniva monopolizzata da tali servizi disponibili in rete. Ma come operano esattamente i giganti tecnologici contemporanei? O meglio, come variano le loro strategie di mercato, in relazione al tempo che vi viene dedicato dagli utenti del web?