Se, da una parte, nel contemporaneo dibattito accademico vige un unanime consenso circa l’idea che “il compito principale dell’educazione sia quello di formare l’uomo” – come sosteneva anche Jacques Maritain, filosofo francese allievo di Henri Bergson – dall’altra minor accordo v’è sul fatto che questa riesca – ed in quale misura – a plasmarne anche le visioni politiche, i comportamenti ed i valori.
Nella letteratura delle scienze sociali, ad esempio, innumerevoli sono i tentativi di attribuire all’insegnamento scolastico il ruolo di modellare le opinioni politiche dei propri studenti: dalla formazione di un’identità nazionale francese nel XIX secolo (Weber, 1976), alla produzione di masse di individui capaci di adattarsi ai sistemi organizzativi del XX secolo di stampo capitalista (si veda in questo caso Bowles and Gintis, 1976) o socialista (Lott, Jr. 1991).
Tuttavia, per quanto l’idea che un sistema educativo possa essere utilizzato per foggiare le percezioni delle “giovani menti” sia potente, risulta estremamente complesso dimostrare empiricamente sotto quali condizioni ad operare sia un rapporto di casualità diretta tra l’istruzione e le convinzioni da essa instillate, piuttosto che l’effetto “riflesso” di altri cambiamenti sociali, politici ed economici che, a loro volta, tendono a formare le preferenze individuali.
Di recente è proprio la Cina a fornire dell’interessante materiale di studio, e le condizioni ideali per condurre un’analisi esaustiva di tale relazione. A partire dal 2004 il Ministero della Pubblica Istruzione cinese ed il Consiglio di Stato (il più alto organo amministrativo del governo cinese) hanno introdotto una serie di riforme dei curricula accademici, imponendo alle scuole superiori l’adozione di nuovi libri di testo.
Un cambiamento che ha investito, a momenti diversi, più di 29 province tra il 2004 ed il 2010 (vedi Figura 1).
Figura 1: Anno di introduzione del nuovo curriculum
Immagine tratta da Cantoni et al. (2014)