Il giorno tanto atteso (per gli indipendentisti) e tanto temuto (da Westiminster) alla fine è arrivato. Oggi gli scozzesi voteranno se restare dentro il Regno Unito o staccarsi definitivamente dalla perfida Albione dopo trecento anni di convivenza. Gli ultimi sondaggi hanno visto i contrari all’indipendenza in lieve vantaggio. Ma il risultato è incerto. Il premier britannico David Cameron, in un’intervista alla Bbc, ha ammesso di essere preoccupato per il referendum scozzese: “Chiunque sia interessato al nostro Regno Unito, e io lo sono in modo appassionato, è nervoso. Ma sono sicuro che abbiamo spiegato come la Scozia possa avere il meglio dei due mondi, una economia fiorente con un numero crescente di posti di lavoro”.
E infatti Londra, negli ultimi giorni, le ha tentate tutte pur di scongiurare un’eventuale e drastica separazione. Solo due giorni fa, sulla prima pagina del quotidiano scozzese Daily Record, è stata pubblicata la promessa di riconoscere maggiori poteri alla Scozia in caso di vittoria del “no”. Un impegno firmato dai leader dei tre principali partiti britannici David Cameron, Ed Miliband, Nick Clegg, e suddiviso in tre punti principali: il primo promette “vasti poteri” per il parlamento scozzese “secondo la tabella di Marcia stabilita” dai tre principali partiti. Il secondo è a garanzia di “condivisione delle risorse in maniera equa”, quindi l’impegno “categorico” nel riconoscere al governo scozzese la decisione sul finanziamento dell’Nhs, il servizio sanitaria nazionale che costituisce una delle maggiori incognite in caso di indipendenza secondo parte dell’elettorato.
Tentazioni che il primo ministro scozzese e leader del partito indipendentista Alex Salmond, ha bollato come “intimidazioni” che “non serviranno a nulla”. E se il mondo finanziario tifa per il no all’indipendenza (la Ig, una delle principali società di intermediazione finanziaria della City, assegna l’81% di chance alla permanenza della Scozia nell’Unione) sono in tanti in Europa a sperare nella vittoria dei sì.