In Asia le Proteste Non Riguardano Più Soltanto Hong Kong

Mentre tutti gli occhi dell’opinione pubblica, media e governi sono puntati su Hong Kong, un’altra città d’Asia sta facendo clamore. Si tratta di Shantou, città posta nella provincia cinese del Guangdong. A dare la notizia è stato il People’s Daily, principale quotidiano del Partito Comunista Cinese.

Verso fine settembre alcuni cittadini si sono ribellati all’autorità centrale. Il problema riguardava un programma governativo mirato ad allargare una discarica nella zona, dando soldi in cambio a chi decideva di abbandonare le proprie abitazioni e lasciar quindi il via libera alle autorità locali. Alcuni residenti per protesta hanno preso d’assalto uno degli uffici governativi. La polizia ha arrestato ventisei manifestanti e sequestrato duecento armi tra coltelli e manganelli.

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Il caso Hong Kong potrebbe dilagare in molte altre realtà vicine all’ex colonia britannica. “Se le cose cambieranno a Hong Kong, allora altre città in Cina proveranno a fare lo stesso”, spiega Chase Hui studente alla Technological and Higher Education Institute di Hong Kong. “Le autorità sono ovviamente preoccupate che il tutto potrebbe trasformarsi in qualcosa di più grande in Cina”, afferma Geoffrey Crothall, portavoce del China Labour Bulletin di Hong Kong.

In realtà, il numero degli incidenti in Cina sta già crescendo anno dopo anno. E la causa viene identificata in parte nei social media, principale strumento di comunicazione dei manifestanti cinesi. “L’abilità dei lavoratori di organizzare scioperi e proteste si è intensificato grazie della crescita dei social media e delle piattaforme per lo scambio di messaggi come Wibo e WeChat, e la diffusione di smartphone a basso costo”, come spiega il Bulletin in un recente report.