Medyan, come ha iniziato a fare il giornalismo? Quali sono state le sue prime esperienze nel mondo del giornalismo?
Ho iniziato a fare giornalismo in forma di giornalismo di guerra. Ho iniziato nel nord dell'Iraq che copre gli scontri tra i due partiti curdi. Ho soggiornato con il PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan, ndr) sui monti per un lungo periodo.
Come sei entrato in contatto con l’IS?
Sono stato a conoscenza dell’Is per molto tempo, da quando ero in Iraq. A quel tempo si chiamava "Lo Stato Islamico in Iraq". I media non ne parlavano molto. Era la priorità assoluta per gli americani in Iraq. Quando l’Is è arrivato in Siria sono stato il primo giornalista ad intervistarli. Ho anche girato un documentario per VICE: "Siria: la nuova casa di Al-Qaeda". Ho dovuto studiare come entrare nello Stato Islamico: questa è stata la fase più difficile. Mi è stato detto di prepararmi, che per entrare bisognava attraversare il confine. Quando sono arrivato alla città di Al Raqqa c'era una parata militare. Ho soggiornato con la sezione media. Mentre ero lì ho notato diverse cose che non avevo incontrato prima. Nello Stato Islamico c'era un elevato senso di sicurezza: ad esempio, le automobili non venivano bloccate e i bambini giocavano in strada fino a tardi. C'è grande rispetto tra i funzionari dello Stato. C'è anche grande rispetto della gerarchia, nonostante la quale ognuno riceve lo stesso salario, a meno che non si sia sposati: in questo caso si ottiene qualche soldo in più. E’ anche l'unico stato in cui nessuno fumava. Sono molto organizzati, hanno leggi e tribunali molto potenti e attenti all' applicazione delle leggi. Hanno la sicurezza e il benessere. Da un punto di vista militare, ho visto una velocità d’azione impressionante: quando sapevano di un bombardamento dagli Stati Uniti o che un altro stato si stava avvicinando, si preparavano per lo scontro in pochi minuti. Tutti i membri del team che era con me indossavano la cintura esplosiva e si preparavano per l'attacco.