Italia in Libia: Facciamo un po’ di Chiarezza

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Nei documenti ufficiali del governo viene classificata come “nota esigenza”, ma dietro questo linguaggio burocratico si cela il problema più complesso che le nostre forze armate abbiano mai affrontato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La missione in Libia sembra concretizzarsi sempre di più, sembra proprio che si stia passando dalle parole ai fatti. La morte di Salvatore Failla e Fausto Piano sembra avvicinare il giorno dell’intervento. L’Italia è ormai pronta a giocare un ruolo da protagonista nello scenario libico, ma restano ancora poco chiare le condizioni e le modalità attraverso le quali intervenire. Ultimamente sta prendendo sempre più corpo l’ipotesi di inviare altre forze speciali sul suolo libico. Le fiamme nere del Nono reggimento incursori Col Moschin si uniranno ai 40 agenti dell’Aise (i servizi segreti per la sicurezza esterna già presenti a Tripoli e Sabrata), è questa l’indiscrezione che emerge da un articolo del Corriere della Sera e del Fatto quotidiano. Secondo il quotidiano di via Solferino, in particolare, Renzi avrebbe firmato un provvedimento che prevede che alcuni reparti d’èlite delle nostre Forze Armate passino alle dipendenze dirette dell’Intelligence e dunque del governo. La decisione sembra essere stata presa allo scopo di evitare che gli alleati francesi ed inglesi prendano l’iniziativa. Francia e Gran Bretagna, infatti, da sempre si dichiarano favorevoli ad un intervento concreto nello scenario libico. Questa indiscrezione preoccupa molto analisti e i commentatori autorevoli. Non ci sono le condizioni per cui si possa intervenire” in Libia e la guerra è “l’ultima cosa da fare”. Romano Prodi, che dal 2008 è a capo del gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa, intervenendo al Tg3 considera del tutto fuori luogo la possibilità di una missione in Libia.

“Se veramente il governo avesse preso una simile decisione (quella di inviare dei reparti speciali in Libia), sarebbe non solo in aperta contraddizione con la saggia linea tenuta fin qui dal nostro Paese, cioè aspettare la formazione e l’invito di un governo libico unitario, ma ci metterebbe anche, per forza di cose, nella peculiare posizione di schierarci dalla parte del governo islamico di Tripoli che oggi controlla l’ovest della Libia in cui si trovano gli impianti Eni, e che è avverso a quello di Tobruk sostenuto dai nostri alleati”

Questo è invece ciò che afferma l’ex capo di stato maggiore della difesa Vincenzo Camporini in una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano. E’ ormai evidente che l’intervento è alle porte ed è meglio prepararsi subito all’imminente conflitto.

Il Piano d’Azione

L’eventuale operazione militare in Libia si prospetta come la più grande mai realizzata dal 1943. Dovrebbero essere impiegati dai 3mila ai 7mila militari e i due terzi saranno forniti dall’Italia che avrà il ruolo di coordinare le operazioni. La fase iniziale sarà sicuramente guidata dal comando mobile della divisione Acqui, erede dei “martiri di Cefalonia”. E’ Centocelle, invece, la base dalla quale si coordineranno le missioni e dove si sta assembrando il comando operativo della missione. La base romana sembra essere il luogo più indicato perchè costituisce quello che potremmo definire il Pentagono italiano che coordina tutte le nostre operazioni, comprese quelle in Afghanistan e nel Kurdistan.

L’Obiettivo e l’Esercito

Se l’obiettivo è costituito dalla distruzione del Califfato di Sirte, allora un contingente di 3mila uomini dovrebbe essere più che sufficiente. Il contingente potrebbe essere composto da un nucleo d’assalto di circa 200 commando e uno squadrone di elicotteri da combattimento Mangusta. L’esercito sarà costituito interamente da soldati europei, mentre gli americani offriranno un supporto esterno: navi, aerei e forze speciali. Altro luogo da tenere d’occhio è l’aeroporto di Sigonella, dove sono schierati, ormai da tempo, i Predator italiani ed americani. ll contingente inviato sul campo avrà un sostegno dal mare attraverso una portaelicotteri che trasporterà un battaglione di soldati del San Marco con i loro blindati. La copertura aerea invece verrà concentrata sull’aeroporto di Trapani, dove sono già presenti i cacciabombardieri Amx.

I Servizi Segreti e il Ministro della Difesa

Il sottosegretario Marco Minniti è l’autorità delegata del governo per i servizi segreti e gestisce i rapporti con l’Intelligence ai cui vertici troviamo l’ambasciatore Giampiero Massolo, capo del Dipartimento per le informazioni e sicurezza, da cui dipendono i servizi segreti per la sicurezza esterna ed interna. Gli agenti dell’Aise sono presenti in Libia fin dai tempi della caduta di Gheddafi. A Giampiero Massolo spetta il compito di trasmettere le decisioni del potere politico ai vertici dell’Aise che avrà a sua disposizione alcuni reparti speciali. Dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dipendono gli stati maggiori della Marina, dell’Esercito, dell’Aeronautica e dei Carabineri che supportano l’intelligence attraverso alcune unità speciali. In questo caso si tratterebbe degli incursori del Consubin della Marina, del Nono Reggimento Col Moschin dell’Esercito, del Gis dei carabinieri, del Diciassettesimo Stormo dell’Aeronautica.

Per intervenire senza che vi siano dei danni collaterali troppo alti, come ad esempio l’aumento di combattenti pro Isis, servirebbe la richiesta formale di un governo libico, che al momento non esiste. A spingere il governo italiano a pronunciarsi in favore di una operazione militare è l’interventismo di Francia e Gran Bretagna già palesato nel 2011  quando scelsero di tutelare i propri interessi energetici in Libia tagliandoci fuori dai giochi. Ora che come sempre il sangue italiano ci rende meno ciechi alla furia dei tagliagole dell’Isis, bisogna occuparsi concretamente della guerra in Libia, perché lì c’è una guerra in atto da anni nonostante l’occidente è abituato a far finta di non vedere cosa succede oltre il mediterraneo. Lo sterile dibattito politico ha offuscato le reali ragioni dell’intervento e confuso sempre di più l’opinione pubblica, ma la guerra in Libia sembra ormai inevitabile. Riflettere sulle modalità e soprattutto sull’opportunità di specifici interventi militari è essenziale per sfuggire alla contrapposizione, ormai anacronistica, di interventisti e pacifisti che non porterebbe a nessuna soluzione efficace, oltre che duratura. In concreto, l’ipotesi di intervenire con migliaia di soldati a terra rischierebbe di creare una situazione ancora più pericolosa di quella creata dai bombardamenti alleati anni fa in Libia, meglio quindi aiutare i nostri amici libici ad estirpare l’Isis facendo poco rumore, magari evitando proclami che hanno il solo lo scopo di raccogliere una manciata di voti.