Le Cooperative, secondo la definizione del Codice Civile, sono Società dedite alla produzione di beni o servizi dove lo scopo comune non è il profitto, ma quello mutualistico del vantaggio che i Soci conseguono grazie allo svolgimento della propria attività, invece che con terzi, direttamente con la società. Lo scopo mutualistico può realizzarsi in diversi modi, come quello sopra accennato, oppure vendendo ai Soci della cooperativa i beni alle stesse condizioni degli altri imprenditori, ma dividendo con loro i profitti conseguiti o fornendo direttamente ai membri della cooperativa occasioni di lavoro. È da sottolineare, però, che esistono cooperative che destinano la loro produzione anche a soggetti estranei, divenendo così simili alle altre società.
Tipiche sono le ben note cooperative di consumo che vendono i propri beni a terzi o le Banche di Credito Cooperativo, aperte a Clienti anche non Soci. In questo caso il vantaggio dei Soci non sarà dato solo dai ristorni, ma anche dagli utili conseguiti; come si vede lo scopo sarà anche speculativo e non solo mutualistico.
La modifica
La recente modifica della normativa e l’introduzione delle cooperative a mutualità prevalente non incrina il favore del legislatore nei riguardi del fenomeno cooperativo ( che trova fondamento nell’art. 45 della Costituzione), che per loro continua a prevedere una serie di agevolazioni fiscali.
Secondo la normativa infatti, non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento.
Un altro aspetto importante della normativa, che incide grandemente sulla gestione delle Banche di Credito Cooperativo, è il c.d. “voto capitario”. Infatti l’art. 2516 c.c. cita che in esse, il diritto di voto spetti unitariamente a prescindere dalla partecipazione al Capitale Sociale.
Parlando di pratiche bancarie e Sistema Cooperativo si fa riferimento quindi alle Banche di Credito Cooperativo, che sono 376 (il 55% delle banche italiane), hanno 4.441 sportelli, 1,2 milioni di soci (che votano secondo il sopra ricordato principio “una testa, un voto”), 37mila dipendenti, garantiscono il 7,3% del mercato degli impieghi, con 135 miliardi di impieghi erogati (il 7,5% dei prestiti del sistema bancario) ma ben il 15% degli sportelli. Il Sistema delle BCC è di diritto un protagonista di quella stranezza per cui in Italia gli sportelli bancari oggi sono più numerosi degli alberghi, il doppio delle farmacie e quasi il doppio degli asili d’infanzia.
Il faro sul sistema delle BCC si è acceso partendo dal dato che, mentre il tasso di passaggio a sofferenza si attenuava per le banche maggiori e medie, per le BCC è invece aumentato ulteriormente dal 3,6% di dicembre 2013 al 3,9% a fine 2014, e i crediti anomali sul totale dei prestiti sono saliti dal 10 al 17,5% tra giugno 2011 e giugno 2014.
La preoccupazione di preservare il Sistema Bancario Europeo, dopo le varie iniziative rivolte alle Banche Maggiori e alle Popolari, sta ora portando al progetto di una profonda riforma delle Banche associate all’ICCREA (la banca di secondo livello che fornisce servizi e prodotti alle banche del sistema).
Vi è la tendenza da parte dei Regolatori (BCE, Bankitalia e Governi) a considerare che, per evitare default piccoli o sistemici, sia possibile stabilizzare i bilanci peggio gestiti solo addossandone i rischi ad altre aziende più solide. Potrebbe non esserci alternativa, essendo la strada del salvataggio pubblico sbarrata dalle nuove norme europee, che obbligherebbero a colpire gli investitori e i depositanti se ci fosse aiuto di Stato. Il Governo italiano dovrà quindi trovare un’altra strada e non ce ne sono molte: con un sistema chiuso basato sul principio “una testa-un voto”, e una redditività media appena all’1%, oggi le banche di credito cooperativo non sono in grado di trovare risorse fresche sul mercato.
L’ipotesi di riforma prevedrebbe la creazione di una holding capogruppo su base nazionale in forma di spa, che possa approvvigionarsi di capitale sui mercati internazionali e fungere da banca centrale del sistema controllando e supportando le banche cooperative sottostanti.
Riguardo le singole Banche in primo luogo si stabilirebbe un livello minimo accettabile di fondi propri: se fosse anche solo di 50 milioni, oltre metà delle Bcc sarebbero sotto e dovrebbero aggregarsi fra loro. Quindi si penserebbe di attribuire alla holding centrale un proprio Consiglio d’Amministrazione e uno staff; sotto quell’ombrello tutte le Bcc continuerebbero a operare con i propri manager e il proprio bilancio, ma legate da un vincolo di garanzia reciproca. Ognuna di esse parteciperebbe all’elezione del vertice della holding, di cui sarebbero azioniste, ma non su un piede di parità: quelle con patrimoni più robusti, meno crediti in default e un governo societario sano sarebbero più indipendenti; le altri via via commissariate.
La terza via italiana
Questa ipotesi di riforma, costituisce una terza via, “all’italiana”, per consolidare il settore. Le altre due vie sarebbero quella francese, secondo la quale, anche per ragioni di storia economica, è prevalsa l’attitudine all’accentramento, con un’integrazione molto forte fra territori e Capogruppo, in questo caso costituita dal potentissimo Crédit Agricole. In Germania invece, esiste invece un’organizzazione decentrata, con più di mille banche cooperative di stanza nei vari Lander le quali, anche prese singolarmente, hanno livelli di solidità maggiori rispetto a quelli del sistema di casa nostra.
La terza via, come sempre in Italia, è quella obbligata.
Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia