Una delle caratteristiche distintive della specie umana è la capacità dei suoi membri di proiettare se stessi e le proprie azioni mentalmente nel passato (per ri-vivere) – la cosiddetta “memoria episodica” – oppure nel futuro (per pre-vivere gli eventi) – due facoltà a cui la letteratura scientifica fa riferimento con il termine “viaggio mentale nel tempo” (1).
In particolare, il potere di accedere al futuro, seppur attraverso il pensiero, l’attività di pianificazione e di previsione – ampiamente riconosciuto in ricerca come un vantaggio evolutivo decisivo del genere umano (2) – pone quotidianamente l’individuo di fronte ad innumerevoli scelte che implicano il bilanciamento di costi e benefici presenti in differenti punti nel tempo. Tali decisioni possono comprendere l’abbandono o meno della scuola, la ricerca di un nuovo lavoro, o l’avvio di un programma di risparmio. Tutte attività che, nella teoria economica, rientrano nello studio delle “scelte intertemporali” – pietra miliare di molti modelli decisionali sin dai pioneristici lavori degli anni Trenta di Paul Samuelson (3), ed elemento saliente nella teoria del capitale umano.
Nozione fondamentale di tale approccio rimane quella del tasso di sconto (o di preferenza) temporale, per il quale individui con un alto tasso investiranno meno nel proprio futuro – il proverbiale “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Ma qual è il reale costo dell’impazienza nelle decisioni intertemporali intraprese dagli agenti economici?