Sono passate poco più di tre ore dall’alba, eppure la strada che circonda lo scalo commerciale del porto di Calais è deserta. Nessuno sembra voler cominciare un nuovo giorno oggi. La notte, probabilmente, è stata lunga. A scandire i minuti che passano sono le macchine della polizia e della sicurezza portuale, chiamate a sorvegliare le recinzioni che separano i campi dai depositi in cui i camion aspettano di imbarcarsi per l’Inghilterra.
Ci troviamo a Calais, 300 km a nord di Parigi, sulla costa francese che cola a picco sull’Oceano Atlantico. Di fronte a noi, a 22 miglia di distanza, poco più di un’ora di traghetto, c’è il Regno Unito, con le bianche scogliere di Dover e le sterminate distese verdi dei prati di Folkestone. Alle nostre spalle, il dramma di una città di 75mila abitanti, che da mesi ormai convive con più di 8mila migranti provenienti da ogni parte del Mondo. Il desiderio e la speranza di rifarsi una vita oltremanica li ha spinti lì, nel nord della Francia. Le leggi internazionali contro l’immigrazione clandestina, invece, li bloccano a poche centinaia di metri dal loro sogno, in un campo chiamato “La Giungla” (Jungle, ndr).
L’asfalto corre veloce sotto le ruote della macchina. Dal finestrino sinistro scorgiamo traghetti in partenza e controlli serrati della polizia. Dopo un paio di rotonde entriamo finalmente in Chemin des Dunes, la strada sterrata che separa la zona industriale dal porto. E’ questo l’unico accesso a quello che viene definito “il campo profughi più grande d’Europa”. Lasciamo la macchina sul ciglio della strada e proseguiamo a piedi.