Back To Europe: Il Falso Mito dell’Offshoring Come Unica Alternativa Possibile

Quant’è frustrante il tentativo di intercettare mediante schemi fissi l’evoluzione dell’economia globale? Prendendo in prestito una citazione di Ulrich Beck, si potrebbe rispondere che “lo sforzo di determinare questo concetto è simile al tentativo di inchiodare un budino alla parete”. Perché la globalizzazione nasce su un terreno il cui humus è al contempo inclusivo e divisivo. Tiene insieme i pezzi, mentre li distanzia. E‘ fatto di proprietà che sono ora liquide, ora solide; ricette a volte lampanti, a volte ombrose. Unione d’intenti e spaccature costanti.

Si evolve, la globalizzazione. Tanto da smentire se stessa nel breve volgere di qualche lustro. Soprattutto nella sua declinazione puramente economica. All’interno della quale, il fenomeno del reshoring – ri-localizzazione delle attività produttive – è solo l’ultimo, inatteso approdo di un magma costante e trasformatore.

L’idea nasce negli States, e non potrebbe essere altrimenti. Poi si allarga a macchia d’olio, verso le economie mature del Vecchio Continente. Laddove, con le dovute differenziazioni, la scelta di puntare tutte le fiches sul tavolo del terzo settore sembrava l’unica strategia possibile per contrastare la manodopera a basso costo dei Paesi emergenti. Il tempo ha dimostrato che si trattava di un errore di valutazione, figlio della fretta e di una tendenza “fisiologica” alla semplificazione.