A partire dal 2010, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), da sempre il guardiano ideologico del liberismo moderno, ha drasticamente rivisto la propria posizione nei confronti dei controlli sul movimento dei capitali, riconoscendo i rischi insiti nelle repentine variazione dei flussi – in special modo nelle economie di mercato emergenti – e consentendo l’inserimento di tali misure nell’insieme di strumenti utilizzabili dai paesi per scongiurare future crisi finanziarie (1). Una rivoluzione, nell’attitudine dell’istituzione verso questo genere di politiche, tanto radicale, nel mondo economico, quanto potrebbe risuonare al di fuori quella di un annuncio Vaticano che concede la propria benedizione al controllo delle nascite. Tuttavia, nonostante la riformata volontà del FMI, l’utilizzo di controlli sui capitali come strumento di policy, specialmente per allontanare il rischio di una nuova crisi mondiale, rimane una questione controversa – comprenderne gli effetti macroeconomici, un imperativo della ricerca.
Mentre la letteratura in materia ha garantito ampia trattazione alle motivazioni sia a favore sia contro l’utilizzo di politiche di restrizione alla libera circolazione dei capitali, determinarne i costi ed i benefici relativi per la ripresa economica è, in ultima analisi, un problema empirico, ed, in questo senso, il miglior banco di prova non può non essere costituito che dalla storia. La Grande Depressione degli anni Trenta fu la prima crisi finanziaria dell’epoca moderna, in cui gran parte dei paesi coinvolti risposero alle pressioni della bilancia dei pagamenti con l’introduzione di severe restrizioni al movimento dei capitali – e, quindi, una ghiotta opportunità di studio.
Mentre, dopo il 1929, imperversava la deflazione e la produzione, così come i redditi, subivano importanti contrazioni, le economie si dimostrarono sempre più propense ad abbandonare un regime di tassi di cambio “ancorato” all’oro. A metà degli anni ’30, la maggior parte dei paesi aveva sganciato la propria valuta dal gold standard, trovando rifugio in una serie disposizioni alternative, tra cui i controlli sui capitali. La ritirata dalla convertibilità aurea non fu, comunque, perseguita all’unanimità. Alcuni paesi seguirono l’Inghilterra fuori dal gold standard nel 1931, altri ne rimasero dentro fino al 1933, altri ancora si ri-agganciarono ad altre valute – ad esempio la sterlina inglese – o lasciarono liberamente fluttuare i tassi. Ma quali sono stati i reali vantaggi dei controlli sui capitali ai fini della ripresa economica dopo la Grande Depressione? E, soprattutto, quali possono essere le potenziali lezioni della storia?