Articolo apparso su SpazioEconomia.
La Trans-Pacific Partneship segue una logica di contenimento della Cina nell’Asia Pacifico. Ma Pechino ha le sue strategie: accordi di libero scambio nell’area e “One Belt, One Road” verso l’Europa.
Il 5 ottobre, dopo anni di negoziati, il maggiore accordo commerciale degli ultimi 20 anni, nonché il più largo della storia a livello regionale, è stato concluso tra Stati Uniti, Giappone e altri dieci Paesi, che insieme costituiscono il 40% dell’economia mondiale. La Trans-Pacific Partneship (TPP) rappresenta da un lato un’innovazione nel panorama dei patti commerciali: non solo libero scambio e misure tradizionali, ma regole e obblighi più profondi per gli attori dell’economia globale, dall’attenzione alla sostenibilità all’occupazione.
Dall’altro lato, un successo del “pivot to Asia” del presidente Obama. La volontà di Washington è quella di promuovere alti standard di cooperazione commerciale basati su quei principi liberali su cui l’America può ancora far leva per ribadire la sua egemonia internazionale, che molti analisti vedono in declino. Principi che per forza di cose tagliano fuori la Cina e la sua economia di mercato socialista “con caratteristiche cinesi”, unici grandi esclusi dalla partneship. In particolare, le regole sulla competizione delle aziende di Stato sono uno dei capitoli dell’accordo più difficili da rispettare per un Paese in cui il settore statale alimenta la concorrenza distorta con le imprese private e gode di un accesso al credito agevolato.
Formalmente la Cina è stata invitata a prendere parte alle negoziazioni. Del resto, un articolo dell’Economist ha affermato che gli interessi a lungo termine di Washington sarebbero meglio assicurati se la Cina venisse inclusa in un sistema economico regolamentato. Ma le condizioni imposte dalle trattative si sono rivelate ovviamente insostenibili per Pechino, che ha abbandonato. Di fatto, Obama ha pronunciato parole dal chiaro significato geopolitico: “Quando più del 95% dei nostri potenziali consumatori vive fuori dai nostri confini, non possiamo lasciare che Paesi come la Cina scrivano le regole dell’economia globale”. La volontà di contenimento della Cina appare a tutti, anche se gli Usa sostengono che non sia una priorità. L’inclusione nelle trattative di Malaysia e Vietnam, sotto agli standard per quanto riguarda diverse questioni come l’occupazione, sembra suggerire l’esistenza di due pesi e sue misure.