Tatuaggi Sul Posto di Lavoro: Un Pregiudizio Sociale, Non Individuale

Una volta considerata una prerogativa di galeotti, marinai e fenomeni da baraccone, il tatuaggio “ornamentale” è oggi una pratica comune ad ogni cultura, strato sociale e fascia d’età – una tecnica d’origine antica, inizialmente concepita con dei forti connotati sociali e religiosi, divenuta col tempo trasversale, che può essere occidentale e orientale, aristocratica e popolare, un rito di passaggio e, spesso una moda. Secondo un sondaggio condotto dalla Harris Interactive – una società di ricerca statunitense – attualmente un americano (adulto) su cinque ne ha almeno uno (21 percento) – una statistica in rapida crescita rispetto ai dati raccolti dall’organizzazione nel 2003, e nel 2008, dove la percentuali registrate erano rispettivamente del 14 e del 16 percento. Ma cosa accade quando il popolo “tatuato” si appresta ad entrare nel moderno mercato del lavoro?

Stando a Andrew Timming, professore di Management presso l’Università di St.Andrew, sebbene sempre più convenzionale, la presenza di una decorazione pittorica permanente sul corpo di un candidato è ancora percepita dai datori di lavoro come un segno di “ribellione” e, nella maggior parte dei casi, tende ad inficiarne le qualifiche. In uno studio pubblicato nel 2013, Timming ha intervistato 15 responsabili delle assunzioni in società operanti nel settore dei servizi – vendita al dettaglio, alberghi, ristoranti, istruzione superiore, saloni di bellezza e banche – proponendogli la valutazione di vari candidati sulla base delle loro immagini, alcune delle quali alterate aggiungendo un tatuaggio. A parità di curriculum, l’analisi ha dimostrato una chiara discriminazione degli individui tatuati, i quali hanno fatto registrare i punteggi di gradimento più bassi – anche se ciò è dipeso, a detta di Timming, “dalla localizzazione del tatuaggio, da cosa rappresenta e se la posizione lavorativa consisteva nel trattare in prima persona con i clienti.”