Da al-Raqqa, in Siria - ora considerata la capitale dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante - a Mosul in Iraq, i radicali sunniti aderenti alla cellula jihadista gestiscono un regolare sistema di estorsione che prevede l'estrazione di tributi dalle imprese e dagli agricoltori, il pagamento di "un'imposta" sui trasporti pubblici e l'imposizione di una sorta di "pizzo" sulle comunità Cristiane ed altre minoranze religiose presenti nell'area. Una "strategia di finanziamento locale", secondo Abu Hanieh, che ricorda quanto accadeva al tempo in Iraq con Al Quaeda, "quando nessuno poteva eseguire una semplice transazione - ad esempio un camion non poteva passare attraverso una strada - senza pagare un tributo".
Non solo. Paradossalmente, lo Stato Islamico fa affari con individui provenienti da stati impegnati nella battaglia contro tali movimenti estremisti. Dai territori caduti sotto il loro controllo, il gruppo amministra il commercio del petrolio, del grano e di antichità, stimolando la nascita di un vasto "mercato grigio", in cui operano commercianti sciiti e curdi residenti in Libano e Iraq.
Un'altra fonte di reddito importante, da cui la cellula terroristica ha ricavato decine di migliaia di dollari negli ultimi anni, è stata la raccolta dei riscatti per gli ostaggi rilasciati - un destino che non è stato riservato al giornalista statunitense James Foley, per cui i jihadisti, prima di sentenziarlo a morte lo scorso 19 Agosto, avevano chiesto ben $100 milioni di riscatto. Mentre i fondi provenienti da privati vicini all'organizzazione - ad esempio le donazioni dei sunniti radicali presenti nel Golfo - hanno subito una netta diminuzione, da quando i governi della regione hanno incominciato a riconoscere lo Stato Islamico come una reale minaccia.