“Vincere La Sfida dell’Euro Vuol Dire Fare i Compiti a Casa”: Intervista al Prof. Altomonte

Come aveva anticipato solo pochi giorni fa l’European Council on Foreign Relations (ECFR), una think thank indipendente pan-europea, il risultato delle ultime elezioni europee di maggio ha confermato lo “strano spettacolo di un parlamento con molti membri che vogliono definitivamente la sua abolizione”.

Sebbene ancora non sia facile individuare una maggioranza all’interno della nuova Assemblea Europea, ed in questo senso i prossimi sviluppi, nei termini delle alleanze parlamentari che verranno strette, saranno fondamentali per comprenderne gli equilibri politici interni, i veri vincitori dell’ultima consultazione elettorale rimangono i partiti del fronte Euroscettico. L’Exploit del Front National in Francia, l’Ukip nel Regno Unito e l’Oevp in Austria, consentirà l’approdo a Bruxelles e Strasburgo di decine di eurodeputati, dall’orientamento politico sia conservatore che progressista, uniti se non da una generale senso di sfiducia nel progetto Europeo, dalla volontà di porvi termine quanto prima.

Nel frattempo, il presidente uscente della Commissione Europea, José Manuel Barroso dall’ultimo simposio della Bce, non nasconde i propri timori: “Siamo estremamente preoccupati per la tendenza che emerge dal voto europeo. Sta andando giù tanto la fiducia nelle istituzioni europee quanto quella nelle istituzioni nazionali”. Parliamone con Carlo Altomonte, Professore Associato di Economia dell’Integrazione Europea presso l’Università Commerciale L. Bocconi, autore, insieme a Tommaso Sonno, del libro dal titolo “Italia alla Sfida dell’Euro” edito da Satelios.

 Prof. Altomonte, si sente di dover confermare le preoccupazioni di Barroso?

Si, ma con una nota d’ottimismo. Dal mio punto di vista, che questo voto avrebbe inviato un certo segnale di protesta rispetto a come l’Europa ha gestito la crisi era abbastanza evidente. Teniamo presente che ci sono due caratteristiche del voto Europeo. In primo luogo, è un voto d’opinione, e quindi tradizionalmente ha sempre avuto una partecipazione più bassa rispetto alla media nazionale. In secondo luogo non ha quasi mai premiato il governo in carica. Se mettiamo insieme queste due caratteristiche del voto europeo, in cui le composizioni non ortodosse hanno sempre fatto meglio rispetto al voto nazionale, in quella che è l’Europa post-crisi, in realtà il voto euroscettico poteva essere ben peggiore.

Forse il Paese, che da questo punto di vista ha sorpreso di più, è proprio l’Italia, che, in maniera molto matura, ha canalizzato scontento e protesta in una voglia di cambiamento “ordinata”. Questo ha sicuramente colorato in maniera diversa la lettura del voto Europeo, poiché a questo punto abbiamo due grandi paesi dell’Eurozona, con i due principali partiti politici rappresentati dal Parlamento Europeo, i Popolari per la Germania e i Socialisti per l’Italia, che si muovo in un ambito europeista. La Spagna, tutto sommato, ha tenuto. Il vero punto di domanda rimane la Francia, anche se il risultato di Marine Le Pen non viene come una sorpresa.

Sempre in riferimento alle recenti dichiarazioni di Barroso, come mai sta calando la fiducia nelle istituzioni Europee? E quindi, come nasce il fenomeno euroscettico?

Il fenomeno nasce perché la crisi ha messo in luce i peccati originali del disegno dell’area Euro. E questi peccati originali derivano dal fatto che non si può avere un’area “non ottimale” dal punto di vista monetario, con differenziali di competitività molto accentuati, senza nessuna forma di trasferimento fiscale all’interno della stessa. E’ quello che in economia chiamiamo il nuovo “trilemma”, il terzetto incompatibile in un contesto di moneta unica. Al disegno originale di Maastricht, con una Banca Centrale che non finanzia il debito e Stati che non raccolgono le obbligazioni fiscali di altri Stati, si è inserito un terzo elemento che è il legame tra sistemi bancari e debito pubblico, ovvero la ri-nazionalizzazione dei sistemi bancari, e il fatto che la responsabilità per le perdite dei sistemi bancari stia in capo ai governi nazionali. Quest’incompatibilità, che è scoppiata nel 2008, di fatto, ha reso il disegno della moneta unica non più gestibile. E l’Europa questa cosa c’ha messo due anni e mezzo a capirla.